D.Lgs. 139/2015: Interpretare il nuovo bilancio in forma abbreviata

balance sheet

Il D.Lgs. 139/2015 ha riformato le regole relative agli schemi di bilancio delle società di capitali, anche quelle di piccole dimensioni, rinnovellando per queste ultime gli articoli 2435-bis (Bilancio in forma abbreviata) e 2435-ter (Bilancio delle micro-imprese) del codice civile.
Limitandoci alla sola parte degli schemi di bilancio, sinteticamente possiamo dire che lo Stato Patrimoniale in forma abbreviata è costituito dalle sole voci indicate dalle lettere maiuscole e dai numeri romani, continuando però a distinguere i crediti e i debiti esigibili oltre l’esercizio successivo. Invece il Conto Economico in forma abbreviata ha sostanzialmente solo alcuni raggruppamenti di voci rispetto allo schema ordinario (variazioni delle rimanenze, quote di fine rapporto, ammortamenti, altri proventi finanziari, rivalutazioni e svalutazioni).
Questa drastica riduzione di voci, specialmente nello Stato Patrimoniale, ovviamente comporta una minore possibilità informativa per il lettore del bilancio, tra l’altro lecita sia per le minori dimensioni aziendali sia perché previste dal Codice civile. Ciò comporta che una eventuale analisi di bilancio deve tener conto delle sole voci disponibili e di conseguenza gli indicatori ottenibili saranno di numero più limitato rispetto ad una analisi di un bilancio redatto in forma ordinaria.
Ovviamente una analisi con maggiori indicatori è sempre possibile potendo accedere ai dati contabili, cosa che non può fare l’analista esterno o gli altri stakeholders interessati a leggere il bilancio dell’azienda. Ad esempio per determinare la Posizione Finanziaria Netta occorre avere maggiori dettagli sui crediti e i debiti e non la sola distinzione tra crediti e debiti esigibili oltre ed entro l’esercizio successivo, come è nello Stato patrimoniale in forma abbreviata.

Esempio pratico analisi bilancio in forma abbreviata
Vediamo ora come procedere ad una analisi di un bilancio in forma abbreviata limitandoci al solo Stato patrimoniale. Innanzitutto la riclassificazione dello Stato patrimoniale è più agevole dato il minore numero di voci da rielaborare. Si riporta di seguito lo Stato patrimoniale di una micro-impresa riclassificato con criterio finanziario utilizzando le voci disponibili nello schema in forma abbreviata:

Stato Patrimoniale secondo il nuovo schema previsto dal DLgs 139/2015

Con tali dati a disposizione è possibile determinare i seguenti indici di bilancio e margini patrimoniali:
Analisi per indici e margini

A questo punto è possibile già dare un giudizio sullo stato di salute dell’azienda, ovviamente solo dal punto di vista patrimoniale e finanziario in quanto ci siamo limitati all’analisi del solo Stato patrimoniale.
Limitandoci a commentare i valori in rosso, cioè quelli probabilmente fuori parametro, possiamo affermare che anche se può sembrare che la struttura patrimoniale e finanziaria sia sbilanciata un po’ troppo verso il capitale di terzi e quindi con una non piena autonomia finanziaria, osservando i margini si nota che il margine di struttura primario è il solo valore negativo.
Questo indica che le immobilizzazioni non sono state finanziate interamente dal capitale proprio ma in piccola parte anche dal capitale di terzi, che tra l’altro è la situazione di quasi tutte la aziende. Invece è molto importante che il margine di struttura secondario sia un valore positivo, in quanto sta a significare che le immobilizzazioni sono state finanziate con capitale permanente (capitale proprio + debiti scadenti oltre l’esercizio successivo) e ciò denota un equilibrio tra gli impieghi e le fonti di finanziamento. In via speculare anche il Capitale circolante netto positivo denota una capacità dell’azienda a far fronte agli impegni di breve scadenza. Infine il margine di tesoreria anche se negativo (incapacità a far fronte ai debiti a breve con le sole disponibilità liquide e i crediti da incassare) possiamo non considerarlo estremamente sfavorevole dato che lo speculare indice di liquidità immediata rientra nel parametro accettabile superiore allo 0,33 e che tale indice è denominato infatti “Acid test” considerata la sua severità di giudizio.

Q&A: Le Zone Economiche Speciali (ZES)

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(in foto la zona industriale di Contrada Olivola di Benevento che insieme all’area Asi di Ponte Valentino rappresentano le prime ZES del Sannio)

Il legislatore, con la Legge di stabilità (l. 232/2016), è intervenuto istituendo le Zone Economiche Speciali al fine di favorire gli investimenti nel Meridione, in particolare, le strutture produttive ubicate nelle zone meno sviluppate e in transizione, delle regioni Campania, Abruzzo, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna.
La normativa in parola, per stimolare lo sviluppo di imprese già esistenti e la creazione di nuove, ha concesso benefici fiscali e previsto semplificazioni amministrative, dirette a realizzare favorevoli condizioni economiche per le imprese.
Nell’Unione europea sono operative, da diverso tempo, ben 91 zone economiche speciali tra le più importanti si segnalano:
• Madeira (Portogallo) presente sin dal 1980;
• Shannon (Irlanda) realizzata nel 1959.
La creazione delle Zes costituisce, non solo per il Sannio, ma per l’intero Meridione un’occasione, quasi unica, per rilanciare l’economia attraverso l’attrazione di investimenti esteri, l’incremento delle esportazioni, la crescita industriale, la creazione di nuove imprese e, quindi, di nuovi posti di lavoro.
Analizziamo le ZES attraverso un breve Questions&Answers.

DOMANDE E RISPOSTE

D.1. COS’È LA ZONA ECONOMICA SPECIALE?
R.1. La Zona Economica Speciale, come definita dall’art. 4, co. 2, del D.L. n. 91/2017, è un’area geograficamente delimitata e identificata, situata entro i confini dello Stato, dove le imprese che vi operano godono di un regime speciale, in deroga a quello ordinario, caratterizzato da incentivi fiscali, agevolazioni e semplificazioni burocratiche.
Le Zes, ai sensi dell’art. 3 del D.P.C.M. 12 del 2018, possono essere costituite anche da aree non territorialmente adiacenti purché siano dotate di un nesso economico funzionale comprendente un’Area portuale. Quest’ultima deve essere collegata alla rete transeuropea dei trasporti (TEN-T) con le caratteristiche determinate dal regolamento (UE) n. 1315/2013.
In linea generale, la normativa europea obbliga gli Stati membri a garantire che i porti marittimi siano, adeguatamente, connessi con linee ferroviarie o strade, che i porti destinati al traffico delle merci applichino tariffe trasparenti e siano accessibili agli utenti in modo non discriminatorio.
In particolare, il regolamento richiede che le predette aeree portuali dispongano di attrezzature atte a garantire l’operatività degli strumenti di controllo del traffico marittimo previsti a livello europeo e, soprattutto, che abbiano realizzato almeno un volume totale annuo:
• di carico merci, sia sfuse che non, superiore allo 0,1% del volume annuo del carico merci all’interno dell’Unione;
• di traffico passeggeri superiore allo 0,1% del volume annuo di tutti i porti marittimi dell’Unione.
In definitiva, secondo le intenzioni del legislatore italiano, co. 2 art. 3 del predetto D.P.C.M., la Zes sarà costituita da territori quali porti, aree retroportuali, anche di carattere produttivo e aeroportuale, piattaforme logistiche e interporti, con esclusione delle zone residenziali

D.2. QUALI SONO LE TIPOLOGIE DI ZES PREVISTE?
R.2. L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) individua diversi tipi di zone economiche speciali:
• zone di libero scambio (free trade zone – FTZ), presso i porti e gli aeroporti, che rappresentano aree delimitate esenti da dazi, parzialmente o totalmente, all’import o all’export per determinati beni;
• zone industriali di esportazione (export processing zone – EPZ), che agevolano la riesportazione dei beni sottoposti a processi di lavorazione da cui deriva un significativo valore aggiunto;
• zone economiche speciali (special economic zones – ZES), costituiscono le classiche Zes, dove sono previsti incentivi, agevolazioni e semplificazioni amministrative alle imprese investitrici;
• zone speciali industriali (special industrial areas – SIA) che limitano le agevolazioni a un settore specifico per il quale costruiscono anche infrastrutture ad hoc;
• zona eco industriale (Eco-Industrial Park – EIP) insieme di imprese manifatturiere e di servizi che, attraverso la gestione del riciclo delle materie prime, acque ed energia, cercano di ottenere uno sviluppo economico e ambientale;
• Parchi industriali (Industrial Park – IP): definiti come aree sviluppate e divisi in lotti sulla base di un piano generale che comprende infrastrutture, trasporti, utilities, con o senza unità produttive, in taluni casi con servizi di uso comune a beneficio delle imprese stabilite.

D.3. QUAL È LA PROCEDURA PER ISTITUIRE UNA ZES?
R.3. L’art. 5 del D.P.C.M. n. 12/2018, dispone che le proposte di istituzione di una Zes devono essere presentate dal presidente della Regione, sentiti i sindaci delle aree interessate, al presidente del Consiglio dei ministri.
Il co. 2 del medesimo decreto, prevede che per l’istituzione di una Zes interregionale è necessaria una proposta congiunta dei Presidenti delle regioni coinvolte. In particolare, secondo l’art. 4 del D.P.C.M., possono costituirsi due tipi di Zes Interregionali:
• la prima si costituisce tra una regione nella quale non sia presente un’Area portuale e un’altra regione in cui sia presente almeno un’Area portuale;
• la seconda viene ad esistenza tra due regioni contigue, nel cui territorio non esiste un’Area portuale, mediante la presentazione di un’istanza in forma associativa, indicando uno o più porti non rientranti nella categoria di Aree portuali.
Le Zes interregionali non possono superare l’area complessiva indicata nell’allegato 1 del predetto decreto.
L’art. 6 del D.C.P.M. citato prevede che la Regione o le Regioni coinvolte devono allegare alla proposta, per l’istituzione di una Zes, un Piano di sviluppo strategico che deve specificare:
• criteri e obiettivi di sviluppo perseguiti con la pianificazione strategica portuale;
• le infrastrutture già esistenti e quelle di collegamento tra aree non territorialmente adiacenti;
• l’impatto sociale ed economico previsto;
• le semplificazioni amministrative destinate alle iniziative imprenditoriali nelle Zone Economiche Speciali.
L’art. 7 del Decreto in parola, attribuisce ad un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri il compito di istituire la Zes e determinarne la durata, che non potrà essere superiore 14 anni né inferiore a 7, termine prorogabile, su richiesta delle Regioni interessate, per ulteriori 7 anni.

D.4. IN CHE MODO LE AGEVOLAZIONI PREVISTE CON LA ZES DEVONO ESSERE COMPATIBILI CON LA NORMATIVA EUROPEA?
R.4. La struttura della Zes deve essere conforme alla normativa europea in materia di aiuti di Stato a finalità regionale per le annualità 2014-2020.
Pertanto, i competenti organi della Commissione Europea verificheranno se la misura di aiuto, predisposta con la Zes, è compatibile con il mercato interno: accertando che l’impatto positivo generato per conseguire un obiettivo di interesse comune superi i potenziali effetti negativi sugli scambi e sulla concorrenza.
In particolare, l’articolo 107 del TFUE, in materia di aiuti di Stato, prevede che sono compatibili con il mercato comune gli aiuti:
• destinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita è anormalmente basso o si registra una grave forma di sottoccupazione;
• diretti a promuovere la realizzazione di un importante progetto di comune interesse europeo a porre rimedio a un grave turbamento dell’economia di uno Stato membro;
• mirati ad agevolare lo sviluppo di alcune attività o regioni economiche, sempre che non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse.
Dunque, in conformità alla normativa europea predetta, possono essere concessi due tipi di aiuto:
• investimenti a finalità regionale che variano in base alle dimensioni della società istante (pari al 20% dell’investimento per le piccole imprese, 10% per le medie imprese e tra il 10 e il 25% per le grandi imprese;
• di funzionamento per le PMI in modo da ridurre i costi del personale, della materia prima, dell’energia, della manutenzione, di amministrazione e di affitto.
È opportuno specificare che tali aiuti possono essere concessi solo alle regioni c.d. svantaggiate: Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sicilia e Sardegna.

D.5. QUALI SONO I SOGGETTI BENEFICIARI DELLE AGEVOLAZIONI PREVISTE PER LE ZES?
R.5. I benefici sono riconosciuti alle imprese, non in stato di liquidazione o di scioglimento, che:
• investano nelle aree individuate;
• mantengano le attività nella ZES per almeno sette anni successivi al completamento dell’investimento oggetto delle agevolazioni.

D.6. QUALI SONO LE AGEVOLAZIONI PREVISTE PER LE IMPRESE?
R.6. Le imprese, di nuova costituzione o esistenti, italiane o straniere, ai sensi dell’art. 5 del Decreto Legge suindicato, che decideranno di investire nelle zone economiche speciali, potranno usufruire delle seguenti tipologie di agevolazioni:
• credito di imposta “Bonus Sud”: in relazione agli investimenti effettuati nelle ZES, il 2 co. dell’art. 5 del Decreto in esame, riconosce un credito d’imposta proporzionale al valore dei beni strumentali acquisiti (quindi sia in leasing che a titolo di proprietà) entro il 31 Dicembre 2020, fino alla concorrenza massima di 50 milioni di euro per progetto di investimento;
• proroga dell’iper-ammortamento: tale agevolazione, prevista dall’art. 1, co. 9 della Legge di stabilità n. 232/2016, come è noto riconosce una maggiorazione del 150% del costo di acquisizione dei beni funzionali alla trasformazione tecnologica e/o digitale. Le imprese che investiranno nelle Zes potranno applicare la predetta agevolazione agli investimenti effettuati dal 1 gennai fino al 31 dicembre ovvero fino al 31 settembre 2018 subordinato all’accettazione dell’ordine di acquisto da parte del venditore, con pagamento di un acconto pari al 20% del prezzo pattuito;
• semplificazioni amministrative: la c.d. “burocrazia zero” dovrà essere rappresentata, ai sensi di quanto disposto del co. 1, lett. a) del Decreto in parola, “da procedure semplificate, individuate anche a mezzo di protocolli e convenzioni tra le amministrazioni locali e statali interessate, e regimi procedimentali speciali, recanti accelerazione dei termini procedimentali ed adempimenti semplificati rispetto a procedure e regimi previsti dalla normativa regolamentare ordinariamente applicabile”. I criteri e le modalità di tali procedure semplificative dovranno essere individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare su proposta del Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno, se nominato, previa delibera del Consiglio dei ministri.

Marchio dello sponsor sull’auto da corsa: spese di rappresentanza e non pubblicitarie

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Interessante l’Ordinanza della Corte di Cassazione n. 5187 del 6 marzo 2018 con cui sono stati ribaditi alcuni principi in tema di distinzione tra spese di pubblicità e spese di rappresentanza. La CTR del Piemonte, su impugnazione di avviso di accertamento per Ires Iva e Irap anno 2006 da parte di una società produttrice di macchinari per l’industria casearia, ha ritenuto che le spese sostenute in relazione al contratto stipulato per gli inserti della denominazione sociale sulle autovetture impiegate in corse automobilistiche, rientrassero fra le spese di pubblicità, come tali interamente deducibili, invece che fra le spese di rappresentanza.

La CTR ha in particolare ritenuto rilevante l’elemento della gratuità, al fine di distinguere le spese di rappresentanza da quelle di pubblicità, per cui vanno ascritte a quest’ultima categoria le spese in questione, vertendosi in fattispecie di contratto sinallagmatico a titolo oneroso per la diffusione del marchio, e della concreta modalità di svolgimento delle operazioni di marketing, ritenendo coerente ed efficace la scelta della società di ricorrere a tale contestato mezzo per propagandare il proprio marchio ed immagine.
L’Agenzia delle Entrate ricorreva per la cassazione della sentenza della CTR per violazione dell’art. 108, comma 2 TUIR, in tema di distinzione fra spese di pubblicità e di rappresentanza. Il ricorso è stato ritenuto dalla Suprema Corte “manifestamente fondato”.
Infatti la giurisprudenza, in tema di imposte sui redditi delle persone giuridiche ha individuato il criterio discretivo tra spese di rappresentanza e di pubblicità nella diversità, anche strategica, degli obiettivi, atteso che costituiscono:
– spese di rappresentanza i costi sostenuti per accrescere il prestigio e l’immagine della società e per potenziarne le possibilità di sviluppo, senza dar luogo ad una aspettativa di incremento delle vendite;
– spese di pubblicità o propaganda quelle aventi come scopo preminente quello di pubblicizzare prodotti, marchi e servizi dell’impresa con una diretta finalità promozionale e di incremento delle vendite.

Alla luce della chiara distinzione individuata dalla giurisprudenza citata, la CTR ha errato nel dare rilevanza all’aspettativa di ritorno commerciale della società senza effettuare la necessaria valutazione sulla differenza ontologica e funzionale fra le due tipologie di spesa.

Come utilizzare lo Z-score per valutare il rischio di insolvenza di un’impresa

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Dotarsi di un modello, ovvero una serie di modelli per verificare la solidità finanziaria di un’azienda è una delle cose più sagge che un imprenditore, ovvero un investitore possa fare.
Infatti, monitorare costantemente le aziende cui si sono concessi crediti ovvero in cui si sono investiti dei soldi può scongiurare di incappare in crediti deteriorati ed immobilizzati evitando riflessi negativi e deleteri sulla rispettiva posizione finanziaria.
Vi sono modelli di natura qualitativa e quantitativa.
I modelli di natura qualitativa lasciano spazio a valutazioni soggettive. Gli stessi non sono mai stati valutati statisticamente e la loro capacità predittiva dipende dallo stesso analista e dalla sua esperienza. Risulta difficile, quindi, trasmettere il know-how per l’applicazione del modello con risultati non affidabili.
I modelli di natura quantitativa si basano su delle formule derivate da studi di carattere statistico su campioni significativi. Si analizzano alcuni indici di bilancio di diverse aziende e se ne studia la relazione combinata con le sorti delle aziende stesse in un arco temporale determinato.
Uno degli indici più noti è costituito dallo Z-Score, ovvero indice di Altman. Lo stesso è stato sviluppato alla fine degli anni sessanta da Edward Altman, attualmente professore emerito della New York University’s Stern School of Business.
Lo Z-Score viene utilizzato ampiamente dalla comunità finanziaria e dagli imprenditori più accorti per valutare la probabilità di insolvenza di un’azienda. L’indice era applicabile solo alle aziende manifatturiere quotate in borsa, e non alle società finanziarie in genere (banche, assicurazioni, fondi). Successivamente , vi sono stati degli adattamenti della formula per renderlo applicabile anche ad aziende non quotate ed operanti non solo nel settore produttivo ma anche servizi, energia, pubblica utilità, commercio all’ingrosso ed al dettaglio, come meglio vedremo nel prosieguo.
Il modello originario e quello successivamente modificato dallo stesso Altman ( Z” o indice di Altman per PMI) hanno un’utilità limitata ai due anni dal verificarsi dell’evento. Nel senso che l’accuratezza predittiva è significativa per un lasso temporale fino a due anni.
Nella tabella di seguito pubblicata si potranno visionare le due formule note di Altman.

Analizziamo le variabili utilizzate nel modello e il loro valore esplicativo
Per meglio comprendere il modello è utile analizzare le singole variabili utilizzate ed il loro valore esplicativo dell’eventuale stato di crisi aziendale.
La prima variabile il capitale circolante, secondo quanto dichiarato da Altman ( cit. AAII Issue July 2016 pag. 7) è molto più significativa del Current Ratio (ovvero il rapporto tra attività correnti e passività correnti). Infatti, considerando un’impresa in stato di crisi, le scorte tendono ad aumentare e questo comporta un indiretto miglioramento del current ratio.
La seconda variabile è costituita dall’utile non distribuito, riguarda la somma complessiva degli utili non distribuiti negli anni come da valore dello stato patrimoniale e non solo l’utile non distribuito da conto economico.
La terza variabile è costituita essenzialmente dal rendimento sul capitale investito; Edward Altman non ha riscontrato una maggiore efficacia sostituendo a quest’indice l’EBITDA ( utile ante interessi, tasse, deprezzamento ed ammortamenti).
La quarta variabile è costituita dal valore di mercato ovvero la capitalizzazione dell’azienda, questo valore è sostituito nello Z double prime model ( indice di Altman per PMI ) dal valore contabile del capitale netto estendendo l’applicabilità del modello. In effetti, il valore di mercato, ha anche un valore predittivo nel senso che incorpora nello stesso le aspettative di mercato sulla produzione di utili futura e sulla solvibilità.
Pertanto, quando possibile è preferibile usare lo Z-score e non lo Z Double Prime quando la quotazione dell’azienda è in un mercato liquido ed efficiente.
I cinque indicatori precedentemente illustrati hanno un’importanza diversa nel determinare il risultato finale del modello, ad esempio una grossa importanza è attribuita alla rotazione del capitale investito ( la quinta variabile), ciò dipende dalla maggiore correlazione riscontrata da questo indice nelle aziende in fase di avanzata sofferenza finanziaria.
Lo Z double prime model, (cfr. tab. nr. 2) fu sviluppato nel 1995, per analizzare la solvibilità ed attribuire il rating a società domiciliate nei paesi emergenti.
Il modello fu elaborato dal professor Altman considerando che nei paesi emergenti le serie storiche dei defaults erano assenti. Il modello fu modificato eliminando la quinta variabile, ovvero il tasso di rotazione del capitale investito in quanto eccessivamente dipendente dal settore merceologico, e la quarta, ovvero il valore di mercato del capitale azionario, a causa della scarsa trasparenza, liquidità ed efficienza dei mercati emergenti. In base a questi aggiustamenti si sono rielaborati i parametri. Infine, si è riscontrato che i valori risultanti dall’applicazione del modello modificato potevano essere utilizzati per attribuire anche un rating all’azienda (oscillante tra la tripla A a D); ad esempio, se lo Z” di un’azienda risulta pari a 8, possiamo sostenere che l’azienda dovrebbe avere un rating creditizio AA.
Nel modello originario, Altman aggiunse arbitrariamente una costante come si può osservare in tabella 2, la stessa serviva a standardizzare i risultati ottenuti per le aziende operanti nei mercati emergenti, per fare in modo che quando si registravano risultati inferiori allo zero gli stessi equivalevano a situazioni di insolvenza. Nell’applicazione attuale del modello alle economie sviluppate, la costante è stata eliminata. Il modello è molto robusto ed è preferibile utilizzarlo quando si analizzano aziende non operanti nei settori della produzione ma nei servizi, energia, commercio etc. .
Uno dei migliori utilizzi attuali del modello si ottiene quando per l’azienda da analizzare sono disponibili anche i relativi rating rilasciati dalle agenzie di credito e si verificano degli scostamenti tra il rating attribuito da quest’ultime e quello ottenuto dall’indice di Altman.
Ad esempio, se in base allo Z Double Prime l’azienda presenta un rating buono di livello BBB, mentre il rating del bond è di tipo B-, ( soglia di sofferenza finanziaria), ciò ci indurrà ad approfondire l’analisi di bilancio per comprendere le cause delle divergenze.

Come si comportano i modelli di Altman nella realtà aziendale italiana?
La validità del modello e la relativa robustezza fu già verificata dal professore nel 1995, e lo stesso concluse per l’applicabilità generalizzata del modello. Successivamente, uno studio molto approfondito edito da E. Altman, A. Danovi ed A. Falini ha concluso per l’applicabilità del modello di Altman alla realtà manifatturiera italiana con alcuni distinguo:
– I valori per le aziende in amministrazione straordinaria si presentano nettamente più bassi rispetto al valore medio;
– Le classificazioni nella zona di incertezza, ovvero grey area sono troppo frequenti ( valori tra 1,8 e 3)
D’altra parte, lo studio ha appurato che nella realtà italiana il modello Di Altman double prime si presenta più robusto e più aderente a quella che è il destino effettivo dell’azienda analizzata. Inoltre, questo indicatore presenta la possibilità di graduare meglio il rischio nella grey area con un utilizzo congiunto del rating dei bond da parte delle agenzie di credito .
Concludiamo, evidenziando i limiti del modello nella realtà operativa italiana.
Il modello non presenta risultati infallibili, in genere è valido nel 70% dei casi ( cit. Z-Score Models – Altman, Danovi, Falini). Inoltre, non sempre è utile nei casi in cui le aziende analizzate fanno ricorso ad artifici di bilancio. Ad esempio, nel caso della Parmalat il modello nei due anni precedenti il clamoroso default attribuiva alla Parmalat un rating A- , mentre nel caso del crack della Giacomelli ha avuto un’ottima capacità predittiva evidenziando valori molto bassi nei tre anni precedenti la crisi d’impresa.

Bibliografia Essenziale
– Il modello di analisi Z Score applicato alle PMI – Bottani Cipriani Serao
– Using the Z Score to Assess the risk of Bankruptcy – An Interview with E. Altman – AAII journal July 2016 issue
– Z Score Model application to Italian companies subject to extraordinary administration – NYU Stern School of Business
– I modelli Predittivi della crisi di impresa e lo Z Score – Rubin
– Corporate Financial Distress & Bankruptcy – Altman edito da Wiley & Sons 2005

Q&A: Il credito d’imposta Ricerca e Sviluppo

RICERCA E SVILUPPO

Il legislatore è intervenuto, con la legge di bilancio (l. 232/2016), innovando la normativa relativa alle agevolazioni alle imprese al fine di incentivare le attività di ricerca e sviluppo riconoscendo la possibilità di ottenere un’agevolazione fiscale, sotto forma di credito d’imposta.
Nello specifico, per quanto concerne il credito d’imposta per gli investimenti in attività di ricerca e sviluppo, il co. 15 dell’articolo 1 della predetta legge:
• proroga di un anno il periodo di tempo in cui possono essere effettuati gli investimenti in attività di ricerca e sviluppo da parte delle imprese per poter beneficiare del credito di imposta, ossia fino al periodo di imposta in corso al 31/12/2020;
• determina l’aliquota del credito di imposta pari al 50% per tutte le tipologie di spese agevolabili;
• incrementa da 5 a 20 milioni di euro l’importo massimo del credito di imposta che ciascun beneficiario può maturare in relazione a ciascun periodo agevolato;
• estende la platea dei soggetti beneficiari alle imprese residenti che svolgono attività di ricerca e sviluppo per conto di imprese committenti non residenti;
• prevede un ampliamento della tipologia di personale impiegato nelle attività di ricerca e sviluppo, eliminando l’esclusività del requisito dell’elevata qualificazione;
• conferma che il credito di imposta è utilizzabile, esclusivamente in compensazione, a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in cui i costi per le attività in ricerca e sviluppo sono stati sostenuti.
Per ultimo, la suddetta legge di bilancio, prevede che le modifiche anzidette entrino in vigore a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2016.

DOMANDE E RISPOSTE

D.1. CHI PUÒ USUFRUIRE DEL CREDITO D’IMPOSTA RICERCA E SVILUPPO?
R.1. Il beneficio è riconosciuto a tutte le imprese residenti nel territorio dello Stato e stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di soggetti non residenti, indipendentemente dalla natura giuridica, dalla dimensione aziendale, dal settore economico in cui operano e dal regime contabile adottato.
Sono escluse le imprese sottoposte a procedure concorsuali non finalizzate alla continuazione dell’esercizio dell’attività economica.
Il credito d’imposta ricerca e sviluppo compete anche alle nuove imprese che hanno intrapreso l’attività a partire dal 2015. In tale ipotesi, il credito deve essere determinato sul valore complessivo degli investimenti realizzati in ciascun periodo d’imposta per il quale le nuove imprese intendono fruire dell’agevolazione.

D.2. COSA SI INTENDE PER ATTIVITÀ DI RICERCA E SVILUPPO?
R.2. Per attività di ricerca si intende un’attività di studio, analisi, elaborazione di dati, sistemi, diretta ad acquisire nuove conoscenze per la produzione di nuovi prodotti o servizi o per il miglioramento di quelli esistenti.
La ricerca, a seconda del periodo di imposta in cui sono stati contabilizzati i costi sostenuti, si divide in:
• ricerca base: quando l’attività non ha avuto nessun sviluppo dal punto di vista industriale e commerciale. Ossia, non è stato realizzato nessun prodotto. Si tratta sostanzialmente di uno studio interno finalizzato alla conoscenza delle caratteriste del prodotto, processo o servizio che si vuole realizzare;
• ricerca applicata: nel caso cui l’attività ha avuto uno sviluppo dal punto di vista pre-industriale o pre-commerciale che si è concluso con una prototipazione (un prodotto è stato realizzato per vedere se funzionava).
Si parla di sviluppo, invece, quando nel periodo di imposta in cui sono stati sostenuti i costi, il prodotto è stato realizzato e commercializzato.
Si specifica, inoltre, che l’Agenzia delle Entrate con la circolare 5/E del 2016 ha chiarito che il concetto di “innovazione” non è riferito solo a quella di natura tecnologica, ma anche a quel tipo di innovazione organizzativa e commerciale.
Quindi, per innovazione si intende un‘attività di adeguamento, miglioramento e ridefinizione di tutte quelle attività cha sono già esistenti sul mercato.
Si segnala, inoltre, che in risposta a numerose richieste di chiarimenti pervenute da parte di imprese che svolgono attività di sviluppo di software, con il Decreto del 9.2.2018 il Mise ha delineato l’ambito di applicabilità del credito d’imposta per attività di ricerca e sviluppo al caso specifico dei software. Affinché un progetto per lo sviluppo di un software venga classificato come ricerca e sviluppo (R&S), e quindi sia agevolabile, la sua esecuzione deve dipendere da un progresso scientifico e/o tecnologico e lo scopo del progetto deve essere la risoluzione di un problema scientifico o tecnologico su base sistematica. Rientrano, ad esempio, tra le attività di ricerca e sviluppo:
• lo sviluppo di uno nuovo sistema operativo o di un nuovo linguaggio di programmazione;
• la progettazione e la realizzazione di nuovi motori di ricerca basati su tecnologie originali;
• gli sforzi per risolvere i conflitti con hardware o software in base a un processo di reingegnerizzazione di un sistema o di una rete;
• la creazione di nuovi o più efficienti algoritmi basati su nuove tecniche;
• la creazione di nuovi e originali tecniche di criptazione o di sicurezza.

D.3. COSA NON È, INVECE, RICERCA E SVILUPPO?
R.3. Non rientrano, invece, le attività di tipo ricorrente o di routine connesse al software non classificabili come ricerca e sviluppo, per esempio:
• i lavori su aggiornamenti già liberamente disponibili prima dell’inizio dei lavori stessi, relativi a specifici sistemi o programmi;
• le attività di ordinaria manutenzione del computer o del software;
• lo sviluppo di software applicativi e sistemi informativi aziendali che utilizzino metodi conosciuti e strumenti software esistenti;
• l’aggiunta di nuove funzionalità per l’utente a programmi applicativi esistenti;
• la creazione di siti web o software utilizzando strumenti esistenti;
• l’utilizzo di metodi standard di criptazione, verifica della sicurezza e test di integrità dei dati;
• la “customizzazione” di prodotti per un particolare uso, a meno che durante tale processo non vengano aggiunte nuove conoscenze che migliorino significativamente il programma base;
l’ordinaria attività di correzione di errori (“debug”) di sistemi e programmi esistenti.

D.4. QUALI SONO LE SPESE AGEVOLABILI?
R.4.
I costi agevolabili sono quelli relativi al personale impiegato nelle attività di ricerca e sviluppo.
Rientrano in questo genere i costi per il personale:
• dipendente dell’impresa: con esclusione del personale con mansioni amministrative, contabili e commerciali (compreso la quota di competenza del TFR);
• in rapporto di collaborazione con l’impresa stessa: compresi gli esercenti arti e professioni, a condizione che svolga la propria attività presso le strutture dell’impresa beneficiaria.
Il personale utilizzabile nell’attività di ricerca e sviluppo può essere:
• altamente qualificato e quindi in possesso di laurea magistrale e dottorato di ricerca;
• non altamente qualificato, dotato di adeguate conoscenze tecniche commisurate al progetto che l’impresa intende realizzare.
Entrambe le categorie suddette rientrano nelle spese ammissibili e sono agevolabili con l’aliquota del 50%.
Diversamente, sono esclusi gli apprendisti anche se altamente qualificati.
In base alle medesime considerazioni, si ritiene che siano agevolabili anche i compensi corrisposti all’amministratore, non dipendente dell’impresa, che svolge attività di ricerca e sviluppo. Naturalmente l’attività svolta deve essere adeguatamente comprovata e il compenso è agevolabile solo per la parte che remunera l’attività di ricerca effettivamente svolta dall’amministratore.
Tra i costi agevolabili rientrano anche le quote di ammortamento delle spese di acquisizione o utilizzazione di strumenti e attrezzature di laboratorio. Tali costi sono agevolabili, nei limiti dell’importo risultante dall’applicazione dei coefficienti stabiliti con decreto del Ministro delle finanze 31 dicembre 1988, in relazione alla misura e al periodo di utilizzo per l’attività di ricerca e sviluppo e, comunque, con un costo unitario non inferiore a 2.000 euro al netto dell’Iva.
Sono, altresì, agevolabili le spese relative a contratti di ricerca c.d. “extra muros” stipulati con università, enti di ricerca e organismi equiparati, e con altre imprese, comprese le start-up innovative.
Tra i costi agevolabili rientrano anche le spese per “competenze tecniche e privative industriali”, ossia tutte le spese sostenute per le prestazioni di servizi rese da professionisti esterni all’impresa. Ai fini di dell’agevolazione della spesa in esame è necessario possedere:
• copia contratto stipulato tra impresa e professionista;
• copia fattura che deve descrivere per quale motivo e per quale attività di ricerca e sviluppo è stata sostenuta la spesa;
• quietanza di pagamento.
Secondo quanto previsto dalla Circolare 6/2016 dell’Agenzia delle Entrate rientrano in tale tipologia di costi quelli sostenuti per consulenze propedeutiche, due diligence, predisposizione accordi di segretezza, predisposizione accordi di cessione o concessione in licenza del brevetto, trascrizione o annotazione nei registri di pubblicità legale, servizi connessi al procedimento di brevettazione o registrazione sono rappresentati da consulenze propedeutiche (studi su brevettabilità, freedom to operate), deposito della domanda di brevetto o di registrazione, estensione della domanda di brevetto o registrazione, conversione ed ogni istanza a queste connesse, comprese le eventuali traduzioni, mantenimento in vita.
I costi agevolabili, come espressamente chiarito nella circolare 5/E del 2016, e poi ribadito in sede di Telefisco 2018, devono essere assunti al lordo di altri contributi pubblici o agevolazioni ricevuti sui medesimi costi, attesa l’assenza di un divieto di cumulo dell’agevolazione in questione con altre misure di favore. In ogni caso, l’importo risultante dal cumulo non può essere superiore ai costi sostenuti.

D.5. COME SI CALCOLA IL CREDITO D’IMPOSTA?
R.5. Le imprese che intendono beneficiare del “credito di imposta per l’attività di ricerca e sviluppo” devono individuare e calcolare la media delle spese sostenute per le stesse attività nei periodi di imposta 2012, 2013, 2014. Tale valore di riferimento è estremamente importante perché rimane fisso per tutti gli anni di imposta in cui è possibile usufruire dell’agevolazione.
In definitiva, ai fini della concessione del credito d’imposta è necessario che:
• le spese per attività di R&S del periodo d’imposta in relazione al quale si intende fruire dell’agevolazione siano complessivamente almeno pari a 30.000 euro;
• si realizzi un incremento delle spese in esame rispetto al triennio precedente.
Dopodiché, per determinare l’agevolazione, occorre considerare che il credito di imposta spetta “nella misura del 50 per cento delle spese sostenute in eccedenza rispetto alla media dei medesimi investimenti realizzati nei tre periodi d’imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2015”.

D.6. LE SPESE DEVONO ESSERE CERTIFICATE?
R.6. Sì. Le imprese beneficiarie devono predisporre un’adeguata documentazione contabile “certificata” dal soggetto incaricato della revisione legale o dal collegio sindacale o da un professionista iscritto nel registro dei revisori legali di cui al Dlgs 27 gennaio 2010, n. 39.
La certificazione deve essere redatta in forma libera e deve contenere, in ogni caso, l’attestazione della regolarità formale della documentazione contabile e dell’effettività dei costi sostenuti.
Inoltre, la certificazione deve essere allegata al bilancio, conservata ed esibita unitamente al documento contabile.
Le imprese non soggette a revisione legale dei conti e prive di un collegio sindacale, sono obbligate ad avvalersi della certificazione di un revisore o di una società di revisione legale dei conti iscritti nel registro dei revisori legali di cui al Dlgs 27 gennaio 2010, n. 39.
Di conseguenza, solo alle imprese non dotate di revisore e collegio sindacale viene riconosciuto un credito di imposta di importo pari alle spese sostenute e documentate per la certificazione contabile, entro il limite massimo di euro 5.000 per ciascun periodo di imposta per il quale si intende fruire dell’agevolazione.
Per di più, la normativa di riferimento specifica che gli obblighi documentali e di certificazione, oltre a riguardare gli investimenti realizzati nel periodo di imposta in relazione al quale le imprese intendono beneficiare dell’agevolazione, sussistono anche in riferimento agli investimenti pregressi sulla base dei quali è calcolato l’incremento agevolabile ai fini della determinazione del credito di imposta.
La documentazione richiesta ai fini dei controlli va certificata entro la data di approvazione del bilancio ovvero, per i soggetti che non sono tenuti all’approvazione del bilancio, entro il termine di 120 giorni dalla chiusura dell’esercizio in cui sono stati effettuati gli investimenti in attività di ricerca e sviluppo.
Considerato che il credito di imposta in esame può essere utilizzato in compensazione senza alcun limite temporale, l’obbligo di conservazione della documentazione idonea a dimostrare, in sede di controllo, l’ammissibilità e l’effettività dei costi sulla base dei quali è determinato il credito d’imposta, si precisa che la stessa deve essere conservata per il periodo previsto dall’articolo 43 Dpr 29 settembre 1973, n. 600, con riferimento alla dichiarazione relativa al periodo di imposta nel corso del quale si conclude l’utilizzo del credito.
Tutte le spese agevolabili, sostenute nel periodo di imposta nel quale si chiede l’agevolazione, devono essere certificate con un’attestazione del legale rappresentante dell’impresa.
In concreto, per quanto concerne la documentazione a supporto dei costi relativi alla c.d. ricerca extra-muros, in ottemperanza della lettera c) del co. 5 dell’articolo 7 citato, sono necessari i contratti stipulati con università, enti di ricerca o organismi equiparati e gli altri soggetti (comprese le start-up innovative), nonché una relazione sottoscritta dai soggetti commissionari concernente le attività svolte nel periodo di imposta cui il costo sostenuto si riferisce.
Per quanto riguarda l’acquisto di “strumenti e attrezzature di laboratorio” tramite locazione, il costo storico di acquisto del bene deve risultare dal relativo contratto di locazione oppure da una dichiarazione.
Diversamente, le spese per “privative industriali”, acquisite da terzi, devono essere supportate con i relativi contratti e una relazione, firmata dal legale rappresentante dell’impresa beneficiaria ovvero dal responsabile dell’attività di ricerca e sviluppo, con riferimento alle attività svolte nel periodo di imposta cui il costo sostenuto si riferisce.
È, altresì, opportuno che le imprese beneficiarie conservino, oltre alla documentazione predetta, anche un prospetto, con l’elencazione analitica degli investimenti realizzati nei periodi di imposta precedenti ed utilizzati per la base di calcolo della quota incrementale che determina l’ammontare del credito di imposta.

D.7. QUALI SONO I RIFLESSI FISCALI DEL CREDITO D’IMPOSTA?
R.7. L’imputazione temporale degli investimenti in ricerca e sviluppo ad uno dei periodi di imposta di vigenza dell’agevolazione e ai singoli periodi di imposta rilevanti per il calcolo della media avviene secondo le regole generali di competenza fiscale, previste dall’articolo 109 Tuir, a prescindere dalla circostanza che il soggetto beneficiario applichi tali criteri per la determinazione del proprio reddito imponibile ai fini delle imposte sul reddito.
Inoltre, il co. 8 dell’articolo 3, ripreso dall’articolo 6, co. 2 del decreto attuativo, prevede che il credito di imposta in esame:
• non concorre alla formazione della base imponibile ai fini Ires, comprese le relative addizionali regionali e comunali, né alla determinazione dell’Irap;
• non è rilevante per quanto concerne la determinazione della quota di interessi passivi deducibile dal reddito di impresa ai sensi dell’articolo 61 Tuir;
• non è rilevante in merito alla determinazione della quota di spese e altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, deducibile dal reddito di impresa ai sensi dell’articolo 109, co. 5, Tuir.

D.8. COME PUÒ ESSERE USATO IL CREDITO D’IMPOSTA?
R.8.
Come chiarito dall’Agenzia delle Entrate in occasione di Telefisco 2018 il credito di imposta deve essere utilizzato in compensazione, tramite modello F24 presentato esclusivamente attraverso i servizi telematici dell’Agenzia (Entratel o Fisconline).

Come chiedere aiuto alle Entrate: le nuove regole per interpelli tributari

interpelli ade

Cambiano le regole per presentare le istanze interpelli tributari da parte dei contribuenti: a partire dal 1° marzo la struttura unica deputata a ricevere gli interpelli indirizzati agli uffici centrali dell’Agenzia delle Entrate è la Divisione Contribuenti.
I cambiamenti sono indicati nel Provvedimento n. 47688 del 1 marzo 2018 dell’Agenzia delle Entrate, contenente le nuove regole procedurali per le istanze di interpello presentate dai contribuenti.

Interpelli tributari, cosa sono e come funzionano
Ai sensi dell’articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n.212, ciascun contribuente può inoltrare per iscritto all’amministrazione finanziaria circostanziate e specifiche istanze di interpello concernenti l’applicazione delle disposizioni tributarie a casi concreti e personali, qualora vi siano obiettive condizioni di incertezza sulla corretta interpretazione delle disposizioni stesse.
La presentazione dell’istanza non ha effetto sulle scadenze previste dalla disciplina tributaria.

Termini di risposta
I termini per la risposta decorrono a partire dalla ricezione dell’istanza da parte dell’ufficio competente (ovvero dalla regolarizzazione della stessa) e sono: 90 giorni per gli interpelli ordinari e 120 giorni per tutte le altre tipologie di interpello.
La risposta deve essere scritta e motivata, e vincola ogni organo della amministrazione, con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell’istanza, e limitatamente al richiedente.
Quando l’amministrazione finanziari non comunica una risposta al contribuente, entro il termine previsto, tale silenzio si interpreta come condivisione della soluzione prospettata dal contribuente nell’interpello: è prevista, in pratica, la regola del silenzio-assenso per tutte le tipologie di interpello.
Nel caso in cui l’amministrazione finanziaria non riesca a fornire una risposta all’istanza, sulla base dei documenti allegati, può chiedere all’istante, una sola volta, l’integrazione di quanto presentato. In questo caso la risposta è resa entro 60 giorni dalla ricezione della documentazione integrativa.
La risposta all’istanza di interpello non è impugnabile, ad eccezione di quella resa in relazione ad un interpello disapplicativo, per cui può essere proposto ricorso.

Chi può presentare istanza
Possono presentare istanza di interpello:
– il contribuente, anche non residente;
– coloro che in base alla legge sono obbligati a porre in essere gli adempimenti tributari per conto dei contribuenti
– il sostituto/responsabile dell’imposta, a condizione che l’istanza si riferisca a casi concreti e personali

Modalità di invio
L’istanza deve essere presentata, pena l’inammissibilità, prima della scadenza dei termini previsti per la presentazione della dichiarazione, o per l’assolvimento di altri obblighi tributari aventi ad oggetto, o comunque connessi, alla fattispecie cui si riferisce l’istanza.
Il contribuente può presentare l’istanza: consegnandola a mano, spedendola a mezzo plico raccomandato con avviso di ricevimento oppure presentandola per via telematica attraverso l’impiego della posta elettronica certificata.

Contenuti dell’istanza
L’istanza deve contenere i seguenti elementi:
– dati identificativi dell’istante ed eventualmente del suo legale rappresentante, comprensivi del codice fiscale;
– l’indicazione del tipo di istanza con esplicito riferimento alle disposizioni che disciplinano il diritto di interpello;
– la circostanziata e specifica descrizione della fattispecie;
– le specifiche disposizioni di cui si richiede l’interpretazione, l’applicazione o la disapplicazione;
– l’esposizione, in modo chiaro ed univoco, della soluzione proposta;
– l’indicazione del domicilio e dei recapiti anche telematici dell’istante o dell’eventuale domiciliatario presso il quale devono essere effettuate le comunicazioni dell’amministrazione finanziaria e deve essere comunicata la risposta;
– la sottoscrizione dell’istante o del suo legale rappresentante, ovvero del procuratore generale o speciale incaricato ai sensi dell’articolo 63 del D.P.R. 600/73 o comunque del diverso soggetto legittimato alla presentazione con la relativa procura.
Inoltre, all’istanza bisogna allegare la documentazione rilevante ai fini della risposta, inclusi eventuali pareri concernenti accertamenti di natura tecnica, non di competenza dell’Amministrazione finanziaria.

Provvedimento AE 8 marzo 2018
Con provvedimento dell’8 marzo 2018 l’Agenzia delle Entrate ha introdotto il nuovo modello organizzativo per l’invio delle istanze di interpelli.
Lo scopo è quello di individuare nella Divisione Contribuenti la struttura unica che riceve gli interpelli per gli Uffici centrali.
In particolare, il provvedimento porta modifiche ai precedenti provvedimenti del Direttore dell’Agenzia delle Entrate, ossia del 4 gennaio 2016, 8 marzo 2017, 14 aprile 2016 e 20 maggio 2016.
Le modifiche riguardano gli interpelli presentati da: Amministrazioni centrali dello Stato, Enti pubblici a rilevanza nazionale, soggetti di più rilevante dimensione, dai non residenti e dalle Direzioni Regionali alle strutture centrali nei casi di maggiore complessità o incertezza.
Le modifiche riguardano:
– le istanze di interpello presentate in base allo Statuto del contribuente;
– le istanze di interpello relative all’opzione per il regime dell’imposta sostitutiva sui redditi prodotti all’estero realizzati da persone fisiche che trasferiscono la propria residenza fiscale in Italia;
– le istanze di interpello sui nuovi investimenti;
– le istanze di interpello per i contribuenti che aderiscono al regime dell’adempimento collaborativo.

Periodo transitorio
Per garantire il rispetto dei termini, le risposte agli interpelli possono essere rese fino al 31 marzo 2018 anche dalla Direzione Centrale Coordinamento Normativo o, con riguardo agli interpelli concernenti l’imposta ipotecaria dovuta in relazione agli atti diversi da quelli di natura traslativa, le tasse ipotecarie e i tributi speciali catastali, dalla Direzione Centrale Servizi Catastali, Cartografici e di Pubblicità Immobiliare della Divisione Servizi.

Nuovo indirizzo PEC
Il provvedimento specifica, inoltre, il nuovo indirizzo unico di Posta Elettronica Certificata, PEC per l’invio delle istanze.
Dal 1° marzo, per gli interpelli di maggiore rilevanza le istanze vanno inviate esclusivamente, via PEC, all’indirizzo unico: interpello@pec.agenziaentrate.it
Il provvedimento specifica che per gli interpelli da parte dei soggetti ammessi al regime di adempimento collaborativo occorre invece fare riferimento all’indirizzo PEC indicato nelle istruzioni per la compilazione del modello per l’adesione (provvedimento AE 14 aprile 2016).
Il nuovo indirizzo di posta elettronica libera, infine, utilizzabile dai soggetti non residenti che non si avvalgono di un domiciliatario nel territorio dello Stato è : div.contr.interpello@agenziaentrate.it

Disponibile il materiale didattico del Convegno STS Deloitte di Napoli

Disponibile online il materiale didattico (in formato pdf con pw di apertura) presentato al Convegno “Novità tributarie e di bilancio 2017 | 2018” svoltosi a Napoli lo scorso 15 febbraio ed organizzato dalla sede partenopea dello Studio Tributario Societario Deloitte. Di seguito i link:

Novità IVA
Novità nelle imposte dirette della Legge di bilancio
Art.20 del T.U.R., abuso e antieconomicità
Privacy e Data Protection – Regolamento UE 2016-679
Novità del bilancio di esercizio 2017
OIC-IAS effetti fiscali

Password di apertura: Napoli2018

Credits: C. Tomassetti, G. De Luca, E. Della Valle, F. Brunelli, F. Vanacore, L. Miele

Criptovalute & Blockchain: la rivoluzione delle digital currency

bitcoin

Le criptovalute, nell’ultimo periodo, hanno generato una grande eco e attirato molta attenzione – da parte di addetti al settore finanziario ma non solo – grazie al particolare andamento sui mercati. Tuttavia, in molti ancora non sanno cosa sono. Le cryptocurrencies, come sono chiamate nei paesi anglofoni, sono valute digitali o virtuali che basano la loro implementazione e la convalida delle transazioni sui principi della crittografia. Queste valute sono per natura anonime e decentralizzate, per cui, non essendo rilasciate da enti governativi di nessun tipo, sono teoricamente immuni a qualsiasi manovra.

Le valute
Al luglio 2017, esistono circa 1.000 valute digitali differenti. Le più note sono il Bitcoin, l’Ethereum e il Litecoin. Il funzionamento di queste è strettamente legato alla crittografia e alla tecnologia della blockchain, che potrebbe rivoluzionare moltissimi settori disintermediandoli.
Ma come funziona concretamente? Perché vengono eliminati i “classici” rischi che si possono avere su internet, come ad esempio attacchi hacker e perdita di dati? Come viene assicurata la certezza della proprietà e come si evita il fenomeno del double-spending? Tutto questo e molto altro è garantito dalla blockchain, il cui meccanismo, ideato all’inizio per il Bitcoin, è replicato in modo simile da tutte le altre valute digitali.

Il funzionamento della blockchain
La blockchain, in poche parole, non è altro che un libro mastro dove sono iscritte tutte le transazioni che avvengono tramite Bitcoin. L’integrità, la correttezza e l’ordine cronologico delle transazioni sono confermate e protette da un sistema che si basa sulla crittografia.
Per prima cosa, bisogna sottolineare che la blockchain è un database distribuito, e che quindi non è localizzato localmente su un solo server, ma su più macchine contemporaneamente: potenzialmente tutti i computer collegati alla rete. Questa caratteristica è fondamentale per la sicurezza, in quanto sarebbe necessario attaccare tutti i computer contemporaneamente per hackerare la base di dati e modificarle. La forza di questo sistema sta proprio nel fatto che ci siano molteplici “ragionieri” che tengono una copia di questo registro e che vengono aggiornati grazie a un particolare software.
Il (presunto) nome dell’ideatore di questo sistema è Satoshi Nakamoto, che nel 2008 ha pubblicato il paper Bitcoin: A Peer-to-Peer Electronic Cash System e nel 2009 ha lanciato il primo software che ha inaugurato la valuta digitale.
Fondamentale per la sicurezza del sistema è il timestamp, ovvero la marca temporale, che impedisce l’annullamento o la modifica dell’operazione dopo la registrazione. Inoltre, va ribadito il fatto che il funzionamento non è garantito da un ente centrale, ma ogni operazione è validata dall’interazione di tutti i nodi. Dopo aver affrontato la tecnologia che si cela dietro le cryptocurrencies, si possono analizzare i diversi tipi di moneta digitale. Per cominciare, è necessario affrontare il Bitcoin, ovvero la prima valuta nata insieme a questa tecnologia, a cui è legato a doppio filo per diversi motivi.

Il Bitcoin
Il Bitcoin è una vera è propria valuta quotata, e come tale può essere utilizzata per effettuare pagamenti di qualsiasi tipo in qualsiasi momento, con costi contenuti e tutta la sicurezza della tecnologia sottostante. Per poter utilizzare questo particolare tipo di moneta è necessario aprire un portafoglio, che consiste semplicemente in un’applicazione o un programma da installare sul proprio dispositivo; conseguentemente all’installazione, viene generata una chiave formata da una parte privata, accessibile esclusivamente dal proprietario del portafoglio, e una parte pubblica: queste sono necessarie per condurre le transazioni e per certificarne l’autenticità.
Molto interessante è come viene determinato il valore del Bitcoin: questo, essendo indipendente da qualsiasi tipo di organizzazione o governo, non è come una valuta a corso legale e non ha un valore modificabile da nessuno, in quanto anche la sua quantità è fissata a priori e tende asintoticamente a 21 milioni. Il prezzo viene di conseguenza determinato semplicemente dalle leggi di mercato della domanda e dell’offerta. Per quanto riguarda la quantità prodotta, la disponibilità di nuove monete cresce come una serie geometrica ogni 4 anni: nel 2013 è stata generata la metà delle monete e nel 2017 si raggiungeranno i tre quarti.
Al 25 luglio 2017, la capitalizzazione di mercato del Bitcoin è di €36.651.396.293 ($42.647.165.334), sono presenti 16.468.975 monete con un prezzo di €2.225,48 ($2.589,54). L’andamento storico del prezzo in USD si può vedere nel grafico seguente:

Evidente è il fatto che esso abbia un prezzo estremamente volatile, e che tenda ad avere importanti picchi di valore. I motivi della volatilità sono diversi: in primis, molto rilevante è il valore percepito del Bitcoin, che è molto più simile a una commodity come l’oro che a una valuta a corso legale, e cioè la sua riserva di valore contro le monete legali. A questo si aggiunge il valore intrinseco percepito, che può variare molto rapidamente. Inoltre, non va tralasciato il comportamento dei grandi possessori di Bitcoin, che possono influenzare in larga parte il mercato, in quanto questo non ha ancora raggiunto la massa degli investitori mentre gli early adopters si trovano con ingenti quantità di monete. Vanno citate infine sia le notizie geopolitiche (che magari possono riguardare una regolamentazione della stessa moneta), sia quelle che derivano dalla stessa “community”, per esempio riguardo la sicurezza del sistema o eventuali falle. In ogni caso è utile ricordare che il prezzo dipende esclusivamente da domanda e offerta, e che queste vengono pesantemente influenzate dalle ragioni succitate.
Dopo aver analizzato la questione del valore del Bitcoin è possibile affrontare il problema di come vengono generate le monete, e per fare questo è necessario tenere ben presente il funzionamento della blockchain. Come già affermato, la blockchain è un database protetto da crittografia diffuso tra tantissimi computer diversi che tengono nota di ogni transazione. A questo punto potrebbe sorgere spontanea una domanda: per quale motivo queste persone mettono a disposizione della potenza di calcolo per tenere un registro? Ci guadagnano qualcosa o lo fanno solo per amore verso il prossimo?
Siccome i computer coinvolti sono veramente tanti e i costi sostenuti sono notevoli, i soggetti che lo fanno per passione sono veramente pochi, se non nessuno: chi mette a disposizione la propria macchina guadagna dei Bitcoin per ogni blocco che aggiunge alla catena risolvendo dei particolari algoritmi in tempi relativamente brevi. Questi soggetti prendono il nome di miners, in una sorta di similitudine coi minatori d’oro. Inoltre, oltre a guadagnare dai Bitcoin generati dallo stesso sistema, i minatori guadagnano anche dai costi di transazione (ovvero delle fees) che i soggetti versano volontariamente per velocizzare l’operazione, incentivando ulteriormente i prestatori del servizio.

Le altre criptovalute
Come già affermato, le criptovalute sono attualmente circa 1.000, e sono destinate ad aumentare. Oltre al Bitcoin, che ha la capitalizzazione di mercato e il prezzo più alto, esistono diverse monete interessanti che hanno introdotto innovazioni e novità notevoli. Tra le altcoins, ovvero le criptovalute diverse dal Bitcoin, è presente ad esempio il Litecoin, lanciato nell’ottobre 2011, che ha una struttura molto simile al Bitcoin, differendo solo per il fatto che vengono immagazzinate meno informazioni, il che rende le transazioni più leggere e veloci, permettendo di stipare più informazioni all’interno di ogni blocco. Ad oggi, il Litecoin ha una capitalizzazione di mercato di $2,189,035,163, sono presenti 52,186,982 monete sul mercato ad un prezzo di $41.95.
Tra le valute digitali più interessanti spicca anche l’Ether, moneta di scambio usata su Ethereum, una piattaforma digitale considerata di una nuova generazione di blockchain, ovvero la 2.0. La suddetta piattaforma permette l’esecuzione di smart contracts, veri e propri contratti digitali eseguibili senza intervento esterno, dove la moneta funge sia da criptovaluta che da “carburante” per l’utilizzo della potenza computazionale.
Ad Ethereum si affianca NEO, una piattaforma supportata pesantemente da Alibaba, il colosso dell’e-commerce cinese. La differenza tra le due piattaforme sta nel fatto che Ethereum possiede un linguaggio di programmazione proprio, mentre NEO cerca di usare più linguaggi ed essere quindi più flessibile.

Implicazioni future
Le criptovalute sono e saranno un passaggio estremamente rilevante per il futuro, non solo per la loro natura di monete digitali decentralizzate, ma piuttosto per la tecnologia sottostante: la blockchain, per molti, potrebbe distruggere l’economia per come la conosciamo oggi. Nel futuro, settori con un’importante presenza di intermediari come quello finanziario potrebbero sparire grazie a questo sistema. Secondo Dan Trapscott, manager ed economista canadese, la blockchain potrebbe davvero democratizzare e rendere reale la sharing economy, abbattendo i costi di transazione e rendendo accessibile a una maggiore fetta della popolazione il benessere economico grazie alla sicurezza e alla portata del sistema.

Non solo fiori
L’altra faccia della medaglia è che le criptovalute stanno vivendo una bolla che presto potrebbe scoppiare, danneggiando molte persone e facendo crollare i prezzi. Il motivo sta nel fatto che molti si sono letteralmente tuffati nel mercato senza conoscerne le dinamiche, i problemi e le opportunità, rimanendo in balia delle fluttuazioni. A questo va affiancata la problematica che riguarda il riciclaggio del denaro che viene facilitato dalle monete digitali.
Le criptovalute saranno di particolare rilievo in futuro, ma non è detto che rimarranno inalterate e che saranno sempre le stesse, anche per via dei regolamenti che potrebbero arrivare da parte dei governi. Sarebbe quindi più interessante capire e sviluppare la tecnologia sottostante, che secondo molti potrebbe davvero rappresentare una nuova pagina sia di internet che dell’economia mondiale.

A Napoli STS Deloitte chiarisce le problematiche in tema di detrazione IVA

Giovedì 15 febbraio 2018 nella storica cornice di Palazzo Alabardieri nel quartiere Chiaia di Napoli si è svolto l’annuale incontro tra professionisti ed imprenditori promosso ed organizzato dalla sede partenopea dello Studio Tributario e Societario Deloitte.
Il convegno è stata un’occasione di approfondimento e di confronto su aspetti e problematiche di carattere amministrativo e fiscale recentemente introdotti.
Di particolare rilievo è stata la relazione dell’Avv. Chiara Tomassetti – VAT & Indirect Taxes Partner STS Deloitte – che in un breve ma completo intervento ha saputo sciogliere i principali nodi in tema di detrazione IVA alla luce delle recenti disposizioni normative.

Detrazione Iva fatture acquisto 2017 2018
La Manovra Correttiva 2017 (D.l. 50/2017) ha modificato il termine entro cui esercitare il diritto alla detrazione (art. 19 DPR 633/72) e il termine entro cui registrare le fatture d’acquisto (art. 25 DPR 633/72). Le nuove regole si applicano alle fatture e alle bollette doganali emesse dal 1° gennaio 2017. I dubbi maggiori sono stati riscontrati in merito alla detrazione delle fatture inerenti al mese di dicembre 2017 e ricevute nel mese di gennaio 2018. La Circolare 1/2018 dell’Agenzia delle Entrate ha fornito dei chiarimenti importanti in merito alla corretta detrazione IVA, riprendendo la normativa europea. Il principale chiarimento è stato che per poter detrarre correttamente l’IVA è necessaria la duplice condizione: sostanziale dell’avvenuta esigibilità dell’imposta e formale del possesso di una fattura redatta conformemente alle disposizioni di cui all’articolo 21 del DPR 633/72.

Detrazione IVA fatture dicembre 2017

Di seguito un esempio sulla detrazione IVA delle fatture nel caso in cui nel mese di dicembre 2017 il bene sia stato consegnato o il servizio sia stato prestato e si sia entrati in possesso della fattura nel mese di dicembre. Il punto di partenza è il possesso del duplice requisito ovvero: avvenuta esigibilità dell’imposta e possesso della fattura, che in questo caso si realizzano entrambi nel mese di dicembre. L’imposta a credito, relativa a tale cessione di beni/prestazione di servizi, confluirà, previa registrazione della fattura di acquisto nel 2017, nella liquidazione IVA relativa al mese di dicembre 2017 (da eseguire il 16 gennaio 2018), se annotata successivamente, il documento contabile potrà essere registrato al più tardi, entro il 30 aprile 2018 (termine di presentazione della dichiarazione IVA relativa all’anno 2017) in un’apposita sezione del registro IVA degli acquisti relativo a tutte le fatture ricevute nel 2017. Il credito IVA concorrerà a formare il saldo della dichiarazione annuale IVA relativa al 2017.

Detrazione IVA 2017 con possesso fattura gennaio 2018
Diverso è il caso in cui c’è esigibilità dell’imposta nel mese di dicembre 2017, ma possesso della fattura nel mese di gennaio 2018. A questo punto, il diritto alla detrazione, previa registrazione della fattura, sorge nella liquidazione relativa al mese di gennaio 2018, da effettuarsi entro il 16 febbraio 2018. Il medesimo imprenditore in relazione allo stesso acquisto potrà detrarre l’imposta a credito mediante registrazione di tale documento contabile, al più tardi, entro il 30 aprile 2019.
Nel caso in cui tale documento sia registrato nel corso del 2018, l’imposta in esso evidenziata concorrerà alla liquidazione periodica relativa allo stesso mese; se si registra oltre il termine per la presentazione della dichiarazione IVA 2017, cioè si effettui la registrazione del documento, ad esempio, in data 23 aprile 2019, detta registrazione dovrà essere effettuata in un’apposita sezione del registro IVA degli acquisti relativo a tutte le fatture ricevute nel 2018; ciò al fine di far concorrere la relativa IVA a credito alla determinazione del saldo d’imposta risultante dalla dichiarazione annuale IVA relativa al 2018, da presentare entro il 30 aprile 2019

Attenzione: In ossequio ai principi dello Statuto del contribuente e in considerazione del fatto che i chiarimenti sopra riportati intervengono in una data successiva al 16 gennaio 2018 (termine fissato per la liquidazione periodica dell’IVA relativa al mese di dicembre 2017), sono fatti salvi e non saranno sanzionabili i comportamenti – adottati dai contribuenti in sede di tale liquidazione periodica – difformi rispetto alle indicazioni fornite con il presente documento di prassi.

Per ricevere le presentazioni dell’intero convegno è possibile contattare l’indirizzo mail infosts@sts.deloitte.it

Art Bonus: donare alla cultura e risparmiare sulle tasse

art bonus

(in foto il Teatro Romano di Benevento situato nel Rione Triggio)

Cos’è l’Art Bonus?
L’Art Bonus è un incentivo fiscale che consente una detrazione, fino al 65%, per chi effettua donazioni a sostegno del patrimonio culturale pubblico italiano (ai sensi dell’art.1 del D.L. 31.5.2014, n. 83, “Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo”, convertito con modificazioni in Legge n. 106 del 29/07/2014 e s.m.i.).
Cittadini e imprese possono fare donazioni dirette per il restauro di beni culturali e il sostegno dei luoghi della cultura ottenendo uno sconto fiscale da detrarre, in tre anni, dall’Irpef.
In particolare il donatore (persona fisica o giuridica) potrà godere di un regime fiscale agevolato, nella misura di un credito di imposta pari al 65% delle erogazioni effettuate (ai sensi della legge di stabilità 2016).

Soggetti beneficiari
Il credito d’imposta è riconosciuto a tutti i soggetti che effettuano donazioni a sostegno della cultura e dello spettacolo previste dalla norma, indipendentemente dalla natura e dalla forma giuridica.

Cosa si può finanziare
Possono essere finanziati, anche in parte, interventi di:
– manutenzione, protezione e restauro di beni culturali pubblici;
– sostegno degli istituti e dei luoghi della cultura di appartenenza pubblica (es. musei, biblioteche, archivi, aree e parchi archeologici, complessi monumentali, come definiti dall’articolo 101 del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al Decreto Legislativo 22/01/2004 n. 42) delle fondazioni lirico-sinfoniche e dei teatri di tradizione;
– realizzazione di nuove strutture, restauro e potenziamento di quelle esistenti, di enti o istituzioni pubbliche che, senza scopo di lucro, svolgono esclusivamente attività nello spettacolo.

Come effettuare le donazioni
Il credito di imposta introdotto dall’Art Bonus spetta per le donazioni effettuate esclusivamente in denaro.
E’ possibile effettuare il versamento esclusivamente tramite: banca; ufficio postale; sistemi di pagamento previsti dall’articolo 23 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e cioè carte di debito, di credito e prepagate, assegni bancari e circolari.
In pratica, non possono beneficiare del credito d’imposta le donazioni effettuate in contanti, in quanto non offrono sufficienti garanzie di “tracciabilità”.

Per approfondire visita il sito dedicato all’iniziativa del MiBACT (Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo) e consulta la lista degli interventi da sostenere e l’elenco dei “Mecenati” che anno contribuito alla realizzazione dei progetti.

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