Interessante l’Ordinanza della Corte di Cassazione n. 5187 del 6 marzo 2018 con cui sono stati ribaditi alcuni principi in tema di distinzione tra spese di pubblicità e spese di rappresentanza. La CTR del Piemonte, su impugnazione di avviso di accertamento per Ires Iva e Irap anno 2006 da parte di una società produttrice di macchinari per l’industria casearia, ha ritenuto che le spese sostenute in relazione al contratto stipulato per gli inserti della denominazione sociale sulle autovetture impiegate in corse automobilistiche, rientrassero fra le spese di pubblicità, come tali interamente deducibili, invece che fra le spese di rappresentanza.
La CTR ha in particolare ritenuto rilevante l’elemento della gratuità, al fine di distinguere le spese di rappresentanza da quelle di pubblicità, per cui vanno ascritte a quest’ultima categoria le spese in questione, vertendosi in fattispecie di contratto sinallagmatico a titolo oneroso per la diffusione del marchio, e della concreta modalità di svolgimento delle operazioni di marketing, ritenendo coerente ed efficace la scelta della società di ricorrere a tale contestato mezzo per propagandare il proprio marchio ed immagine.
L’Agenzia delle Entrate ricorreva per la cassazione della sentenza della CTR per violazione dell’art. 108, comma 2 TUIR, in tema di distinzione fra spese di pubblicità e di rappresentanza. Il ricorso è stato ritenuto dalla Suprema Corte “manifestamente fondato”.
Infatti la giurisprudenza, in tema di imposte sui redditi delle persone giuridiche ha individuato il criterio discretivo tra spese di rappresentanza e di pubblicità nella diversità, anche strategica, degli obiettivi, atteso che costituiscono:
– spese di rappresentanza i costi sostenuti per accrescere il prestigio e l’immagine della società e per potenziarne le possibilità di sviluppo, senza dar luogo ad una aspettativa di incremento delle vendite;
– spese di pubblicità o propaganda quelle aventi come scopo preminente quello di pubblicizzare prodotti, marchi e servizi dell’impresa con una diretta finalità promozionale e di incremento delle vendite.
Alla luce della chiara distinzione individuata dalla giurisprudenza citata, la CTR ha errato nel dare rilevanza all’aspettativa di ritorno commerciale della società senza effettuare la necessaria valutazione sulla differenza ontologica e funzionale fra le due tipologie di spesa.